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Channel: Commenti a: Sui modelli unici (Atto III): dove si narra di ruoli unici e di contratti unici
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Di: Giorgio Pastore

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Ho letto con piacere le precedenti puntate. In questa, in cui l’ autore presenta le sue idee sui ruoli universitari noto come, anche chi ha sufficiente spirito critico per sottolineare con arguta ironia le tante assurdita’ quotidiane a cui molti si abituano, su altri argomenti non riesca ad andare molto al di la’ del riproporre il mitico passato conosciuto nella propria gioventù, senza ricordarne i limiti di allora e vederne l’ improponibilità oggi.
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Casagli non è l’ unico che vorrebbe reintrodurre il ruolo dei ricercatori a tempo indeterminato (RTI). Lascio stare per brevità le considerazioni sui limiti già riscontrati nel passato, del ruolo dei RTI. Sorvolo sul fatto che nella 382 il ruolo dei ricercatori non era neanche ben definito rimandandone la definizione a successive norma mai arrivate a destinazione. Mi limito ad una considerazione di fondo sul presente perché mi sembra, il ritorno al passato, un’ idea che non tiene conto delle altre variabili del contesto odierno profondamente mutate.
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Il problema è che non viviamo nel migliore dei mondi possibili. E neanche in un mondo cosi’-e-cosi’. L’ Università ha subito e continua a subire un impoverimento nelle risorse disponibili che non può che provocare una contrazione continua delle posizioni disponibili e delle possibilità di carriera. Tra ASN, disponibilità di Punti Stipendiali, situazione economica dell’ ateneo, regolamenti interni dei singoli atenei, fare carriera nell’ accademia italiana, pur non essendo mai stato facile neanche in passato (quando i concorsi nazionali apparivano con la periodicità pluriennali delle comete) diventa una specie di lotteria multipla (per ogni ostacolo superato si vince solo il biglietto per la lotteria seguente) più che un meccanismo motivante per premiare il merito. Un meccanismo in 3 ruoli (al di là del nominalismo o delle petizioni di principio nella 382, di fatto oggi PA e PO sono due ruoli diversi in quanto corrispondono a diritti diversi ancorché a parità di doveri) nel sistema attuale significherebbe creare nei due ruoli “più bassi” un ghetto in cui collocare a tempo indeterminato le persone a prescindere dalle loro capacità/qualità. L’ effetto di sistema di una situazione del genere è devastante: chiunque abbia o ritenga di avere capcità sarà incentivato ad emigrare verso sitemi più premianti. Ancora peggio per quel che riguarda l’ attrattività internazionale di una posizione accademica in Italia, anche tenendo conto dei bassi livelli economici iniziali, non più compensati neanche dalla progressione economica. Speriamo davvero in questo modo di far arrivare in Italia non dico il mitico professore di Yale ma anche solo un brillante Post-Doc cinese o indiano ?
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Perciò, meglio lasciar stare proposte di tornare all’ *unico* buon sistema del passato e piuttosto chiedere un’ inversione di rotta a 180 gradi sulle risorse relative a formazione e sistema universitario. O, se si giudica impossibile la battaglia, almeno immaginare scenari diversi da quelli conosciuti nei nostri venti anni in un’ Università profondamente diversa da quella di oggi.


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